sabato 28 novembre 2015

METRI QUADRATI CATASTALI ANCHE PER LE ABITAZIONI


LA SUPERFICIE DELL'ABITAZIONE NELLA VISURA CATASTALE

Dal 9 di novembre 2015 l'Agenzia delle Entrate ha reso disponibile anche il dato della superficie nelle visure catastali eseguite dai professionisti attraverso il portale Sister e dai proprietari previa registrazione a Fisconline .
Il fatto che appaia anche la superficie catastale di un immobile, tramite ricerca telematica o cartacea, quest'ultima da richiedere negli uffici provinciali del Territorio o negli sportelli catastali decentrati del Comune, non deve però trarre in inganno gli utenti in quanto la presenza della consistenza in metri quadrati all'interno di una visura catastale non ha nulla a che vedere con la riforma degli estimi che, invece, è stata momentaneamente accantonata.
Le unità immobiliari che oggi dispongono anche del dato relativo alla loro superficie catastale sono quelle a destinazione ordinaria, corredate da planimetria e iscritte nei gruppi A, B e C e la loro misurazione è stata ottenuta attenendosi alle disposizioni contenute nell'Allegato C al D.P.R. 138/98 . 
Nella visura catastale compare anche una seconda misurazione sempre indicata in metri quadrati; la discordanza che si potrebbe rilevare tra le due consistenze dipende dal fatto che, per le abitazioni, la seconda misura non tiene conto delle aree scoperte pertinenziali e accessorie all'immobile principale. Questo secondo dato è molto importante in quanto è quello che, molto probabilmente, si utilizzerà in futuro per il calcolo della TARI, la tassa sui rifiuti.
Altro aspetto da sottolineare è che la nuova indicazione non viene utilizzata per ricavare la consistenza  e la rendita catastale che continueranno a essere determinate dal numero dei vani.
Gli immobili coinvolti da questa operazione sono stati quelli dotati di una planimetria catastale; qualora, per ragioni diverse, ne fossero sprovvisti, ovvero fossero dotati di vecchie planimetrie dalle quali non è stato possibile ricavare la superficie, sarà necessario incaricare un tecnico abilitato che ricorrerà alla procedura informatica di aggiornamento degli archivi catastali denominata DOCFA .
Una considerazione: dalla presenza della superficie catastale si potranno evincere delle iniquità esistenti nel nostro attuale sistema di calcolo basato sui vani. Infatti, a parità di metratura, un immobile costruito nei primi decenni del 900, utilizzando la tecnica dei muri portanti, avrà una consistenza (espressa in vani) decisamente inferiore rispetto a una analoga unità costruita in cemento armato, che esprime una maggiore consistenza in termini di spazi interni e quindi di vani catastali.
Va infine precisato che il metodo di calcolo della metratura catastale è leggermente differente dal metodo utilizzato dall'Agenzia delle Entrate (e da moltissimi operatori del mercato immobiliare) per la determinazione della consistenza degli immobili urbani ai fini della rilevazione dei dati dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare .




P   Rispetta l'ambiente: se non ti è necessario, non stampare questa pagina.








sabato 7 novembre 2015

IL PRELIMINARE DI PRELIMINARE: COSA CAMBIA


PRELIMINARE DI PRELIMINARE: LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE


Può ritenersi meritevole di tutela e produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare


Con SENTENZA N. 4628/2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse in merito a un rilevante problema giuridico legato all'ammissibilità, nel nostro ordinamento, della figura del "preliminare di preliminare, e cioè quel contratto con cui due parti contraenti si obbligano alla stipula di un successivo preliminare.
Questa decisione ha rotto con le precedenti interpretazioni formatesi con pronunce dello stesso organo supremo (vedi le sentenze in calce al post); nello specifico, si fa riferimento a quella ipotesi di conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1326 cod. civ., che si articola in tre ben note fasi: 
  1. la sottoscrizione di una proposta d'acquisto che fa riferimento a un successivo contratto preliminare;
  2. l'accettazione della controparte;
  3. la presa visione dell'intervenuta accettazione.
Il tema dibattuto dalla Suprema Corte interessa la prassi attraverso la quale si conclude un primo contratto ad effetti obbligatori, ex art. 1326 cod. civ., che contiene l'obbligo per le parti di stipulare un secondo contratto preliminare, contenente clausole più pregnanti e più dettagliate, per poi giungere al rogito notarile conclusivo. 
Il primo passaggio è quello che, negli usi, specie se ci si avvale di un'agenzia immobiliare, si utilizza per "fermare" un immobile, senza curarsi di tutti gli aspetti dell'affare, che saranno curati in un secondo momento.
Come detto, precedenti pronunce della Corte di Cassazione affermavano che quando "la proposta irrevocabile di acquisto seguita dall'accettazione del venditore preveda che le parti debbano poi concludere un contratto preliminare, prima della conclusione di tale atto, hanno dato vita ad un contratto qualificabile come preliminare di preliminare, del quale deve essere dichiarata la nullità non essendo ravvisabile una causa meritevole di tutela". Nullità che discendeva da una ritenuta inutilità del detto preliminare di preliminare.
Il nuovo corso interpretativo dato dalle Sezioni Unite definisce meritevole di tutela e produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti ad una formazione progressiva del contratto. 
Le Sezioni Unite hanno quindi formulato il seguente principio di diritto: “In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.
Anche alla luce di questo nuovo corso interpretativo, ai fini del diritto alla provvigione, per evitare eventuali contestazioni e per non incorrere nel rischio che il giudice di merito non ritenga meritevole di tutela la prima conclusione del contratto, è opportuno continuare a non fare riferimento a un successivo preliminare, una volta concluso il contratto con la presa visione dell'accettazione, ovvero ad attendere la sottoscrizione del secondo preliminare per esigere le proprie spettanze. 


SENTENZE ANTECEDENTI

La mera proposta di acquisto di un immobile, con cui il proponente si obbliga alla stipulazione di un successivo contratto preliminare, non ha alcun effetto giuridico vincolante, atteso che la volontà in essa espressa dalle parti non può dirsi finalizzata alla conclusione di un contratto definitivo di compravendita né ad un preliminare. Invero, predetta scrittura deve essere qualificata quale "preliminare di preliminare" sicché, al momento della sua sottoscrizione, le parti si trovavano ancora nella fase delle trattative, ancorché in uno stato avanzato tanto da aver predisposto una minuta o puntazione allo scopo di fissare il contenuto del successivo contratto preliminare di compravendita, ma proprio in quanto mera puntazione, alla stessa non può attribuirsi alcuna efficacia vincolante.
Trib. Roma, Sez. X, 01/09/2010

Il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l'interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che - in relazione ad una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile, con la quale il proponente si era obbligato alla stipulazione di un successivo contratto preliminare - aveva ritenuto che tale proposta fosse priva di effetti giuridici vincolanti). (Rigetta, App. Milano, 14/03/2003)
Cass. civ., Sez. II, 02/04/2009, n. 8038

Non ha diritto alla provvigione chi abbia messo in contatto due soggetti in vista della conclusione di un contratto di compravendita, qualora il modulo contenente la proposta irrevocabile di vendita, ancorché seguito da altro e conforme modulo contenente la proposta irrevocabile di acquisto, preveda che le parti debbano stipulare un contratto preliminare e successivamente il contratto definitivo, laddove il termine di efficacia della proposta sia spirato inutilmente, senza che si siano perfezionati né il preliminare, né il definitivo. (Infatti, il procedimento di formazione del contratto per definizione è connotato da una progressiva accentuazione del vincolo tra le parti, mentre nel caso di specie, se si riporta al momento della formulazione della proposta irrevocabile la conclusione dell'affare, come sostenuto dalla convenuta, si finisce per operare in senso opposto, avendo previsto le parti il ricorso al preliminare, quindi, ad una fattispecie di tipo meramente obbligatorio, e poi al definitivo. Ciò preclude all'interprete di ritenere che l'incontro delle due proposte abbia integrato la conclusione di un contratto definitivo, come se fosse intervenuta accettazione della proposta irrevocabile)
Trib. Modena, 30/05/2006




P   Rispetta l'ambiente: se non ti è necessario, non stampare questa pagina.




LOCAZIONE: MOROSITA' E CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA


MOROSITA' DELL'INQUILINO E FISCO

In presenza di una clausola risolutiva espressa, il proprietario può non dichiarare il reddito derivante dai canoni di locazione non riscossi.

In presenza di un inquilino moroso, il locatore si è sempre visto costretto a dovere denunciare, nella sua dichiarazione dei redditi, anche i canoni di locazione non riscossi, con la conseguenza di vedersi conteggiare dall'erario le imposte derivanti anche da quella parte di reddito mai percepito.
Problema annoso che, negli ultimi tempi, ha trovato una sua parziale soluzione con diversi interventi dei giudici tributari, ultimo dei quali, per ordine di tempo, il provvedimento della Commissione Tributaria Regionale Toscana n. 1160/25/2015.
In breve, la Commissione ha considerato corretto il comportamento di un contribuente che non aveva dichiarato il reddito derivante da canoni di locazione non riscossi in quanto, nel contratto di affitto, era stata inserita una clausola risolutiva espressa, ai sensi dell'art. 1456 cod. civ., che comportava, ipso iure, la risoluzione del contratto in caso di inadempimento del conduttore.
La sentenza non aggiunge alcuna novità a una serie di provvedimenti, dello stesso tenore, adottati da altre Commissioni tributarie, sia provinciali, sia regionali, eppure la corretta interpretazione del combinato disposto della normativa esistente ha stentato nel trovare la sua corretta applicazione.
In verità, si era già espressa chiaramente la stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 11/E/2014 del 21/05/2014 dove, al punto 1.3, ribadendo il principio contenuto nell'art. 26, comma 1, del TUIR  per il quale "i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili...", sottolineava che "solo a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base ella rendita catastale".
Una sentenza della Corte di Cassazione, risalente al 2012, la n. 651/2012, si era già chiaramente espressa al riguardo evidenziando come, in caso di risoluzione del contratto, l'obbligazione del conduttore inadempiente acquista natura risarcitoria e non più di canone locatizio. Lo stesso principio era già stato espresso più che autorevolmente anni addietro dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 362 del 26/07/2000.
Va da sé che spetta comunque al locatore dovere dimostrare l'interruzione del rapporto di locazione che, in caso di inadempimento dell'inquilino, si potrebbe concretizzare mediante:

  • la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., se contenuta nel contratto, con l'invio di una lettera raccomandata AR in cui il proprietario comunica al conduttore di volere usufruire della suddetta clausola;
  • la richiesta di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 cod. civ. (preventiva messa in mora e successiva comunicazione di volere risolvere il rapporto contrattuale per scadenza del termine essenziale);
  • l'azione di convalida di sfratto ex art. 657 e ss. cod. proc. civ.;
  • l'azione ordinaria di risoluzione giudiziale ex art. 447 bis cod. proc. civ.

Per quanto riguarda, in particolare, la locazione abitativa, l’art. 55 legge 392/78, ancora in vigore, permette all'inquilino di sanare giudizialmente la morosità sino a tre volte in un quadriennio, stabilendo espressamente che tale sanatoria esclude la risoluzione del contratto ( 1 ) .
In caso di risoluzione, è necessario comunicare all'Agenzia delle Entrate, nei 30 giorni successivi all'evento, la cessazione del contratto di locazione ( Modello RLI ).
Va detto che le previsioni di legge si differenziano qualora si parli di una locazione abitativa, ovvero di una locazione diversa (capannoni, negozi, uffici, ecc...).
Ai fini fiscali, il proprietario, in caso di inadempimento dell'inquilino, nella fattispecie, in caso di mancato versamento dei canoni di locazione (ovvero di oneri accessori di importo superiore ad almeno due mensilità), dopo avere messa in atto una delle soluzioni sopra elencate, nel caso della locazione abitativa può:
  1. non denunciare il reddito dei canoni non percepiti dal momento in cui il contratto è stato risolto ai sensi dell'art. 1456 cod. civ. ovvero dell'art. 1454 cod. civ. ovvero sia intervenuta una convalida di sfratto per morosità ex art. 657 e ss. cod. proc. civ.
  2. a seguito di convalida di sfratto (e solo in questo caso), rivendicare il credito d'imposta di ammontare pari alle imposte eventualmente già versate sui canoni, riportati nella dichiarazione dei redditi, venuti a scadenza e non percepiti (art. 26, comma 1, TUIR).
Per la locazione diversa dall'abitazione, la differenza sostanziale consiste nell'inapplicabilità dell'art. 26, comma 1 del TUIR, per cui, fermo restando anche in questo caso l'utilizzo delle ipotesi contenute al punto 1) che precede, non sarà possibile, per il proprietario, recuperare attraverso il credito d'imposta quanto pagato sui canoni dichiarati, ma non riscossi, antecedentemente alla risoluzione del contratto.






P   Rispetta l'ambiente: se non ti è necessario, non stampare questa pagina.